Un capriolo che si avvicina alle persone in fila col carrello nel parcheggio del supermercato, un altro capriolo sosta davanti ad una vetrina in una strada deserta di un centro cittadino, delle oche con i pulcini al seguito sulla carreggiata alla periferia di Londra, tante tartarughine marine appena nate in una spiaggia indiana priva di turisti, sono tanti gli esempi di animali che durante il lockdown imposto dall’epidemia di coronavirus si sono riappropriati di un territorio svuotato dagli esseri umani (chiusi nelle loro case).

Questi e tanti altri esempi li ho visti in televisione o sui giornali, ma ce ne è uno a cui ho assistito di persona.

Durante la fase 1 del lockdown, una volta alla settimana mi recavo in un negozio della zona industriale di Fano (dell’ex zuccherificio) per acquistare il cibo per il gatto. Per raggiungere il negozio utilizzavo la bicicletta – il cui uso è consentito per fare la spesa – percorrendo la via più breve, quella che “taglia” per il campo d’aviazione.

Il sentiero che costeggia la recinzione dell’area aeroportuale, e che prima dell’epidemia era frequentato da runner e da persone a spasso con il cane, era vuoto, desolato fino all’orizzonte, ma desolato forse non è il termine giusto – Desolato: Di luogo privo di vita, abbandonato, deserto, disabitato -, vita ce n’era, eccome! Posati sulla recinzione c’erano tantissimi uccelli legati alle aree aperte. Non più disturbati dal passaggio di persone che prima li costringevano continuamente a levarsi in volo; quei prati erano tutti per loro.

Un campo d’aviazione così mi ricordava quello dei primi anni ‘80; a quei tempi nessuno si sarebbe sognato di recarsi lì per correre – il termine runner non veniva ancora utilizzato – o per portare a spasso il cane; gli unici a frequentarlo erano i cacciatori, ma quando l’attività venatoria era terminata, lo potevo percorrere senza incontrare anima viva. In quegli anni non c’era la recinzione a delimitare l’area aeroportuale, potevo percorrere in auto la strada bianca che lo attraversava; abbassavo il finestrino e puntavo il binocolo o la macchina fotografica sulle tante specie di uccelli migratori che in primavera popolavano quegli incolti erbosi. Potevo fare un safari fotografico a poche centinaia di metri dal mio quartiere; quei cento ettari pianeggianti privi di alberi e di abitazioni erano la mia savana.

Nel percorrere settimanalmente quel sentiero durante il lockdown ho potuto notare l’avvicendarsi delle specie. I primi di marzo erano ancora presenti quelle invernali (Codirosso spazzacamino, Saltimpalo, Pispola, Migliarino di palude, Beccamoschino, Verdone, Verzellino, Cardellino), poi un po’ alla volta sono subentrate quelle migratrici.

Il primo migratore a fare la sua comparsa è stato il Piviere dorato; da metà marzo ai primi di aprile, vedevo piccoli branchi di questo trampoliere quando, lasciato il sentiero che corre lungo la recinzione, percorrevo la strada che lambisce la parte terminale della pista d’atterraggio. Visto che anche le attività aeronautiche erano state interrotte, la pista erbosa era tutta per loro.

A metà marzo giunse lo Strillozzo – il più grande tra gli zigoli -, gli esemplari di questa specie posati sulla recinzione emettevano i loro caratteristici canti nuziali; cantavano a squarciagola – o meglio ancora, a becco spalancato – felici di esibirsi in assenza di pubblico; emettevano note sempre più affrettate, chiuse con un lungo trillo stridulo – da cui deriva il  nome.

Da fine marzo e per buona parte di aprile branchi numerosi di cutrettole popolavano i prati e la recinzione.

I primi di aprile fecero la loro comparsa alcuni rapaci, come il Falco di palude e la Albanella minore, con i loro voli di perlustrazione bassi sulla vegetazione erbosa.

In aprile giunsero il Culbianco, lo Stiaccino e il Calandro; oltre che sulla recinzione, li vedevo posati sulla strada dissestata, solitamente percorsa da passanti ed ora tutta per loro. Giunsero anche visitatori di ben altre taglia: seppure da molto lontano, potevo vedere le  sagome di quattro gru “pascolare” tranquillamente a ridosso degli hangar (chiusi) dell’aeroporto. Si trattennero per buona parte del mese.

Da metà aprile si fece viva la Calandrella; gli esemplari di questa specie cantavano dalla recinzione e da altri posatoi mostrando di essere intenzionati a nidificare.

Le calandrelle si potevano pure permettere bagni di polvere sul sentiero sgombro di passanti.

Da fine aprile dall’incolto erboso, che in molti punti si era nel frattempo colorato di rosso (del papavero), proveniva il verso della Quaglia.

Non erano solo gli uccelli ad essere stati favoriti dal lockdown, pure le lepri. Prima dell’epidemia di coronivurs riuscivo ad individuarne qualcuna solo in lontananza, le loro lunghe orecchie spuntavano tra l’erba all’interno dell’area recintata; ora si mostravano pure a ridosso della recinzione e persino al suo esterno. Al mio passaggio iniziavano una lunga corsa – mostrando un coraggio da coniglio.

Questa abbondanza di fauna selvatica mi ricordava quella di quarant’anni prima con una differenza: allora gli avvistamenti me li potevo godere, dedicarci tutto il tempo che volevo, durante la fase 1 del lockdown, le poche volte che fermavo la bicicletta ed estraevo il binocolo tascabile per puntarlo su quelle sagome alate – gesto proibito, era consentito girare in bici per fare la spesa e non il birdwatching – lo facevo frettolosamente temendo ben altri volatili, privi di penne: elicotteri e droni della polizia; non volevo essere scambiato per un evaso (dal confinamento domestico).

5 maggio 2020

 

Didascalia foto:

1 – Branco di verdoni e verzellini sulla recinzione del Campo d’aviazione di Fano

2 – Cutrettole sulla recinzione del Campo d’aviazione di Fano

3 – Culbianco e Stiaccino sulla recinzione del Campo d’aviazione di Fano

4 – Calandro, Campo d’Aviazione

 

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