Il primo pensiero è molto semplice: sappiamo tutti che a Natale non è nato nessuno di così importante da farne una festa. Non è neanche una questione di fede: anche quelli che si definiscono credenti sanno benissimo che si tratta solo di una convenzione. Siamo tutti affezionati fin da bambini a questo periodo di festa, ognuno ha i propri ricordi, alcuni belli, anzi molto belli, altri tristi. Ne ho di entrambi i tipi. Uno, lontanissimo, è un Natale di miseria, perché non avevamo l’albero e c’era qualche problema di soldi e mio padre se ne è procurato uno da qualche parte, scavando e tagliandosi una mano. Poi le decorazioni di Natale erano di vetro delicatissimo e con colori smaglianti, bellissimi.

Il secondo pensiero è conseguente al primo: adesso la festa è sempre più laica. Giustamente laica. Nel tempo dei tempi, e non erano bei tempi neanche quelli, si festeggiava il solstizio d’inverno. Comunque una bella idea. C’erano società che noi definiamo primitive che in questo periodo si scambiavano doni e chi non aveva doni da scambiare ne riceveva per poter effettuare lo scambio. Il concetto di uguaglianza era prioritario, ma anche quello del dono. E sarebbe bellissimo, come già in parte si fa, tornare a farlo. Ma ci vorrebbe un concetto di uguaglianza. Uno ovviamente adatto al punto in cui siamo.

Ecco il terzo pensiero: perché non cambiare la festa? Una festa dei boschi e delle foreste, una festa degli alberi, decorandoli, una festa planetaria, per il pianeta. Sarebbe una festa bellissima del rispetto per la natura. Lasciamo perdere il Natale e i babbi Natale (odiosamente maschi, noiosamente antiquati). Gli alberi li stiamo già decorando, i doni ce li scambiamo, rimane sempre quell’ostico concetto di uguaglianza. Stefano Mancuso sostiene che gli alberi si aiutano, perché non cominciare a imparare?

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