Massimiliano era rientrato in casa con un sorriso cattivo e gli occhi sorridenti. Eccitato, indubbiamente.

Spedito?

Hai presente l’ufficio postale, quello dietro il parcheggio?

Lisa è sorpresa: l’hanno rapinato?

Non ce la farebbero mai. Confrontarsi con gli impiegati… gli impiegati li sbriciolerebbero, e ci vorrebbero anni di osservazione e preparazione del colpo.

Allora?

Vigilia di Natale, quindi immagina. Sono entrato di mattina presto, verso le otto e mezzo, c’era solo una cliente, P1, che spediva un pacco, e tre impiegati al front office. Dunque due impiegate libere. Ho preso subito il mio numero, P2, anche se palesemente era inutile. E lì è cominciato tutto.

Lisa sorseggiava il tè, non gli prestava attenzione.

Hai presente i film western di Sergio Leone? Non me ne sono accorto subito, ma quello era un set cinematografico, anche se non riuscivo a individuare le telecamere. Le due impiegate libere mi hanno guardato e io guardavo loro. Aspettavo un segno. Negli schermi sopra di loro apparivano sigle alfanumeriche, immobili. E pure loro erano delle comparse, come se non esistessero realmente, sebbene vagamente ieratiche. Un gioco di sguardi come nei duelli di Sergio Leone. Non succedeva niente. E non c’era la musica di Ennio Morricone. Silenzio assoluto, tranne per la conversazione, piacevole, amabile, tra l’impiegato e la cliente P1. Questa donna sulla quarantina appoggiava le mani sul piano del front office, visibilmente stanca di parlare, ma era la vigilia di Natale, nei paesi dove la tradizione cristiana è tutelata come patrimonio immateriale dell’Unesco, i fedeli esibiscono bontà d’animo e fiducia nel prossimo.

Io aspettavo, ma evidentemente i tempi non erano maturi. Ogni tanto le due impiegate guardavano qualcosa, vicino a loro, o sotto, o fingevano, e poi alzavano lo sguardo verso di me. Forse pensavano a un test sulla pazienza dei clienti. A me non piace partecipare alle statistiche. Mi sono voltato verso il muro alle mie spalle, farfugliando: stronze maledette, cervelli di merda. Poi mi sono girato con un sorriso cristiano. Niente. Non sapevo se stessero passando minuti o qualcosa di più. La situazione comunque si prolungava. Forse aspettavano davvero il mio disappunto, una battuta sarcastica, magari per avviare una sgarbata polemica. Eppure non vedevo telecamere. E poi io non potevo permettermelo. Era l’ultimo ufficio postale della città dove non avevo fatto polemiche, io lì dentro non mi ero mai ribellato. Avevo scelto quel piccolo ufficio postale, lo avevo eletto tra gli altri della città, dove avevo visto gente uscire bestemmiando, impiegati che rincorrevano clienti infuriati, altri impiegati che erano scomparsi dietro i vassoi del barista e facevano colazione insieme dietro le quinte, mentre decine di persone scrutavano impazienti i tabelloni luminosi, delle risse sfiorate, conversazioni agli sportelli che duravano ere geologiche, infarcite di ricordi d’infanzia e racconti farseschi, improvvisi blackout delle prenotazioni. Non dovevo indignarmi.

Poi un rumore, al posto della musica di Morricone: si è aperta la porta dell’ufficio postale ed è entrato un signore anziano.

Scusate, ha detto rompendo l’incanto del silenzio, come si prende il numero?

Tre voci in coro hanno cominciato miracolosamente a dialogare con lui, offrendo consigli, raccomandazioni, non so, forse era una vecchia conoscenza, un amico dei genitori, dei nonni, un noto simpaticone. Comunque, appena ricevuto il numero, immediatamente gli schermi si sono attivati, e A1, l’anziano signore, è stato subito ammesso alla presenza di una delle due impiegate, e l’espressione del viso di lei era cambiata, una inaspettata e benevola evoluzione, mentre i colloqui della zona pacchi proseguivano su toni confidenziali. Sì, il volto era confortante. Era umano. E sotto l’aspetto sociolinguistico lo scambio di opinioni era quasi affettuoso, per quanto conforme ai frasari del gergo postale.

Io restavo lì, con il mio bigliettino P2 (che in altri contesti sarebbe stato un lasciapassare), mentre P1 dialogava e rideva e l’impiegato era visibilmente soddisfatto delle sue capacità di intrattenimento. Ora l’unica impiegata libera sembrava assorta, o forse impegnata in una riflessione ermeneutica, tra sé e sé. Inutile disturbarla. Forse la storia della filosofia avrebbe perso una svolta importante del pensiero occidentale moderno.

Ed ecco la vera svolta.

Oh, ti hanno chiamato.

No. Inaspettatamente è cominciata una vivace e irritata discussione tra l’anziano A1, l’ultimo arrivato (penultimo, perché nel frattempo era approdata nell’ufficio postale una donna con un pacco enorme, e neanche ci avevo fatto caso, ero come fuori dal tempo), qualificatosi come medico (cosa che non ha toccato i cuori degli impiegati), il quale aveva una sola intenzione: chiudere il suo conto. Tutti gli impiegati hanno deciso di partecipare alla discussione sulla chiusura del conto, compreso quello che era già in piacevole conversazione con P1, dimostrando così di sapersi destreggiare in due contesti diversi e contemporanei: di sicuro avrebbe preteso un aumento, se non un livello superiore. Anche perché, dalle retrovie o dal back office, era apparsa la dirigente dell’ufficio postale. 

È evidente che a questo punto non potevo pretendere di essere servito. Si era creato un ingorgo burocratico. La dirigente sosteneva che il medico, per chiudere il suo conto, doveva sottoporsi alla pratica della prenotazione, giustamente hanno sottolineato in coro le due impiegate che stavano guardando minacciosamente il dottore e ignorando me e la signora con il pacco enorme, P3.

Mica chiudo i conti così, dice la dirigente, che pretese. Ho da fare. Lei si prenoti per gennaio…

Gennaio? Io devo solo chiudere un conto adesso. 

Guardi, non si alteri, dice una delle due impiegate, quella più ermeneutica, perché ci alteriamo anche noi, sa, mica stiamo qui inerti a ascoltare tutte le persone che si arrabbiano. Noi lavoriamo.

La precisazione era confortante per me, non per il medico.

Insomma, argomenta il medico – e io ascoltavo perché a quel punto volevo capire chi avesse ragione – nell’ufficio centrale mi hanno detto che non potevano chiudermi il conto, qui dite che me lo potete chiudere ma solo su prenotazione, a gennaio, ma io mi chiedo: si può sapere che cazzo fate lì dietro?

Allora lei si altera! sbotta l’impiegata ermeneutica. E a questo punto compare dalle retrovie anche un’altra signora, forse una vicedirettrice. Piuttosto ben piazzata, fisicamente, mentre il medico era decisamente mingherlino.

La signora con il grosso pacco sbuffava. Io le ho detto se voleva partecipare anche lei alla discussione, ma lei ha rifiutato con un cenno del capo. Occhi di fiamma. 

Ovviamente, l’impiegato del pacco P1, di fronte al dispiegamento di forze, si era ritirato dalla diatriba con il medico e si era concentrato su quella con P1, la quale era stanca di stare in piedi e si appoggiava con entrambe le mani al banco, ma senza maleducazione, anzi, alimentando il dialogo con qualche battuta e un’osservazione pertinente su quel dicembre caldo, mentre negli Stati Uniti d’America imperversava una colossale tempesta artica. Uragano di neve anche sul Giappone, ribatte l’impiegato, che non era solo un piacevole conversatore ma anche una persona informata. Io ero entrato di mattina presto ma temevo che avrebbero chiuso l’ufficio postale prima di poter spedire il mio plico.

A questo punto, mentre la vicedirettrice chiedeva il codice fiscale e la tessera sanitaria al medico, sono stato chiamato.

Con un gesto stizzoso, l’ermeneutica ha premuto un pulsante ed è apparso P2.

Questo le avrebbe offerto alcune profonde riflessioni sul caso e la necessità, ma stoicamente le ignorò.

Trenta secondi e sono uscito. Erano le nove e un quarto, niente male. Ho chiuso dietro di me la porta dell’ufficio postale mentre il diverbio era in crescendo. Cinque contro uno, avrebbe allusivamente commentato l’idolo di mio padre, Ernest Hemingway.

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