Guido Garufi, poeta e critico letterario è autore di saggi e monografie su Pascoli, Gozzano, Campana. Con Remo Pagnanelli ha fondato la rivista “Verso” e con lui la prima antologia sulle nuove generazioni poetiche marchigiane: Poeti delle Marche (1981). Nel 1998, per Il lavoro editoriale, ha pubblicato Poeti delle Marche. Il Novecento. Tra le sue raccolte poetiche, con prefazioni di Mario Luzi e Vittorio Sereni, le più recenti sono uscite per Archinto: Canzoniere minore e Lo scriba e l’angelo e per Aragno: Fratelli. Le sue poesie sono state tradotte in spagnolo e in inglese. Con questo volume di oltre 500 pagine, La poesia delle Marche. Il Novecento e oltre (Affinità elettive, Ancona 2021), Guido Garufi torna sullo stesso argomento, mostrando, oltre all’evidente necessità di un aggiornamento, una ulteriore e più urgente necessità di approfondire i percorsi e i cambiamenti in corso, e di ragionare sull’attività poetica e letteraria oggi.

Prima domanda:

La tua opera mi sembra un’opera di rara acutezza che cerca di interpretare la realtà poetica contemporanea da una zona e dentro un perimetro che offrono un campionario molto vario di esempi di qualità. Ti sei autoescluso credo per concentrare il tuo lavoro sulle lingue della poesia più che sulle singole biografie poetiche. Ulteriore merito. Le Marche sono davvero questo?

Garufi: Le Marche, oggi, dico della generazione che si è affacciata in questi ultimi trenta anni, sono “resistenti”. Un tempo coniai la formula di “avanguardia a ritroso”. Io penso, con le dovute oscillazioni, che ancora di queste adesioni si possa parlare. Dico di un “rafforzamento”, per i nati negli anni ’80 fino ad ora,  nonostante la “grancassa” di un Popolo di informatissimi idioti , titolo di un saggio di Ferrarotti da me compulsato insieme ad altri teorici e studiosi del Web (del suo uso e abuso, intendo dire), ecco, nonostante questo leggo indizi non di superficie che mi paiono avvalorare quanto ho intuito. Mi riferisco, ad esempio, ad alcuni giovani autori dai quali emerge, non troppo in ombra, l’eco della tradizione poetica medionovecentesca. Insomma una linea ben riconoscibile. Dico di Saba, Sereni, Bertolucci, Luzi, il tentativo di “abbassamento” del lirico provocato dal secondo Montale.


Seconda domanda: Ora vorrei chiederti qualcosa sulla quarta rivoluzione industriale. A me pare che il neoliberismo e la globalizzazione dell’economia abbiano creato gli strumenti che servivano ai loro interessi: l’evaporazione dei legami sociali e l’informazione in stile gossip. Il web è una conseguenza. Questa premessa a me pare importante perché altrimenti si perdono i nessi storici. L’analisi della neo-lingua è sacrosanta ma quello che sta dietro e la alimenta, cioè alimenta quella povertà che tu sottolinei, l’aveva analizzata Orwell quando non c’era internet. Si riferiva ai regimi totalitari e questo dovrebbe inquietare. Oggi assistiamo all’analfabetismo generalista e a quello specialistico, cioè persone specializzate in un settore che ignorano totalmente gli altri linguaggi. Ogni poeta dovrebbe riflettere storicamente sullo strumento che usa, ma quanti, in scienza e coscienza, lo fanno davvero?

Garufi: Per quanto riguarda le “tipologie poetiche”, ho tentato di mettere in luce alcune  aporìe evidenti, contraddizioni che sono sotto gli occhi di tutti e da molti anni e che molti ignorano o, peggio ancora, tatticamente eludono.  Un tempo vi erano, almeno, degli “orientamenti” stilistici. Le stesse recensioni, su carta, avevano un “taglio” e, persino, un “retropensiero” ideologico. Uso il termine “ideologia” a livello alto ed autentico, diciamo, “vettori” orientativi o “idee” per la comprensione della società, della vita, del mondo, del soggetto. Queste riflettevano la “realtà”, anzi, riflettevano sulla realtà. Dove per realtà intendo dire la “storia”. Persino quelle non marxiste, apparentemente più “astratte”, partivano dall’alto per “riflettere” sul basso, un “atterraggio” sulla esistenza.  La storia era l’oggetto, la materia dalla quale “partiva” la poesia, persino quella più “simbolica” e “autobiografica”. Oggi l’ influenza sulla “tipologia poetica” deriva dalle scelte editoriali. Ma qui la questione si “allarga”. Nel mio lavoro ho segnalato che la poesia ( come “prodotto” editoriale) l’anno passato era dello 0,7 % del PIL librario globale (italiano), oggi siamo quasi allo stesso livello. Prevalgono romanzi, saggi, libri scolastici e tutto il resto. L’indice di lettura in Italia è bassissimo, come del resto accade, non a caso, per i  quotidiani. Cosa voglio dire? Che le tre o quattro grandi case editrici “indirizzano” ( e molto ) la “tipologia” poetica. Oltre a queste “araldiche” case editrici , ve ne sono tante, intermedie, che pubblicano anche testi dignitosi. Ma è un ginepraio. Il che comporta un lavoro, per il critico ( e questo è il nodo) nell’avvistare un Canone e nel decifrarlo.  Dico che la marea o palude non consentono alcuna ermeneutica,  non si è certi nello stabilire un indizio, un indizio qualsiasi. Ci si rifugia, anche se giustamente,  sul versante sociologico, la “liquidità” ed altro ancora. Ma l’aspetto sociologico discute quanto alla tendenza, nulla dice circa il Canone  e nulla , ovviamente, fornisce relativamente alla questione  estetica che resta “laterale” quando , invece, a mio vedere  è centrale.  E dunque la critica arretra, o non è coraggiosa, se si eccettuano rari casi. Il Web fa tutto il resto. Oggi ci sono solo i “vetrinisti”, alludo allo schermo del computer. La “captazione” del Canone è una selva oscura, non quella di Dante, ma quella della società liquida, dell’omogeneo e della rapidità-velocità sulla quale mi sono a lungo soffermato nel mio lavoro.


Terza domanda: Sulle tipologie di lingue poetiche tra i giovani, non pensi che abbiano influito anche le scelte editoriali, nel loro articolato sistema commerciale e autoreferenziale (giornali, cinema, festival etc.)? La celebrazione ossessiva del best seller, i critici ridotti a funzionari del sistema o in fuga persino da sé stessi, l’esclusione di ogni ricerca letteraria, e non parlo di una sua marginalità, come è sempre avvenuto, ma proprio di una censura preventiva, il linguaggio filmico, tutto questo non orienta i giovani, non li indirizza, incoscientemente o opportunisticamente, verso forme che sono già integrate sul nascere e che mirano più agli effetti corporali di superficie?

Garufi: Per quanto riguarda i giovani, sì, certamente, il passaggio dalla “carta” alla “carta elettrica” ha generato una influenza determinante e in due direzioni, almeno: la prima riguarda il tema della velocità-rapidità di cui mi sono occupato intensamente nella introduzione. Non è piccola cosa, questa. La velocità non consente di riflettere sul testo ( degli altri ) ovvero di ri-flettersi. Il tempo è contratto. Ma negli ultimi venti anni ancora di più la velocità è “dominante”. Se poi consideriamo che l’uso del web, pur concedendo più informazioni , panottiche e simultanee, affatto permette quel fertile ri-pensamento sul testo, la sua metabolizzazione, la sua “digestione”( non trovo termine più adeguato) e, dunque, il suo ( del testo) “gusto” o il Piacere del testo come voleva Roland Barthes, beh, direi che non si debba aggiungere altro. In questo senso io mi sono autoescluso come poeta, non mi sono volutamente autoantologizzato (anche se molti seguono vie contrarie). Volevo, e spero di esserci riuscito, essere un “distante amico” dei poeti di cui mi sono occupato. Anche a livello “recensivo”, se si eccettuano pochi autori, ho avuto l’impressione, certificata, che alcuni avessero più interventi critici di Leopardi. Ora sulla tipologia di tali incursioni critiche è necessario riflettere. Trovi sempre, come ho scritto, un “recensore di turno”. La critica mi sembra, trasversalmente, un puro descrittivismo, un allungamento della “informazione giornalistica”. E’ un bel guaio. Se potessi usare una metafora direi che la critica non guarda con l’occhio “geologico”, ma “fotografa” la superficie indeterminata degli “scriventi”. Guarda caso a questo clinamen fa riscontro, per perfetta simmetria, la deriva della politica, ridotta a spot. Non vi è pensiero.

Edizioni Affinità elettive, 2021 38 euro

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