Il titolo che Tullio Ghiandoni ha dato a questa sua opera del 1966 è inquietante. Se ci troviamo nel paradiso terrestre, il tempo (mitico) è quello che precede l’espulsione dei due sapiens, altrimenti sarebbero fuori dal paradiso terrestre e nella dimensione vicina chiamata Terra, a mantenersi in vita con il sudore della fronte e a partorire con dolore. Forse stanno ancora meditando sulla mela da mangiare. Forse siamo molto vicini all’attimo fatale. Il serpente deve avere già suggerito che l’albero della conoscenza ha dei frutti magici. Li stanno osservando intensamente?

Prima del peccato originale c’era comunque una verginità o un’infanzia, che di solito è spensierata, curiosa, ingenua. E si trovavano nell’Eden, luogo di delizie, ed erano nudi e non ne provavano vergogna, dice la Bibbia. Eppure qui Adamo ha una sciarpa rossa che gli avvolge il collo. Mi chiedo perché (e anche perché non l’ho mai chiesto a Tullio). Ora me lo chiedo e mi turba tutto quel nero cosmico che avvolge i due personaggi. Come se il paradiso terrestre venisse riletto nel xx secolo con un’ironia o peggio con un sarcasmo (che significa appunto “lacerare le carni”) che mettono in confronto e in contraddizione il mito e le conoscenze.

Siamo nel paradiso terrestre e nel freddo glaciale dello spazio: la macchia bluastra sul petto dell’uomo comincia a espandersi. Non c’è luce, niente che riscaldi. Può aiutare poco la sciarpa, che aggiunge ironia alla condizione umana. Le due figure non si appoggiano su qualcosa, sono sospese nello spaziotempo. Non ci sono stelle all’orizzonte, solo buio. Tuttavia quei due, che dovrebbero corrispondere ai nomi di Adamo ed Eva, sono nel paradiso terrestre, ci informa Tullio, e quel nero abissale è il paradiso terrestre che stiamo scoprendo. A meno di immaginare qualcosa di meglio, del resto immaginare non costa niente, ognuno infatti se lo immagina come gli pare, nelle varie parti e culture del mondo. E non sopporta intrusioni nella propria immaginazione.

Qui in fondo anche Tullio immagina e dice: per ora è quello che sappiamo. E io immagino il suo sorriso amaro e divertito, mentre allarga le braccia con un sospiro che è poesia inerme.

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