Se riesco a ricordarle.
La prima cosa è che piove, finalmente, una pioggia anemica. Ma questa non è tra le cose da ricordare. Da queste parti succede così, né troppo caldo né troppo freddo, al massimo una tromba d’aria, una memorabile nevicata ogni mezzo secolo.
La prima cosa da ricordare è una discussione. Una bella discussione che mi aveva fatto alzare gli occhi al cielo. C’era il mio amico biologo, amante delle piante, che mi aveva regalato dei cedri. Però la discussione non riguardava gli agrumi ma l’universo. Anzi, gli universi. Molti.
Troppa roba, mi pare. Questo gli avevo detto. Troppi universi. Anche la fisica si mette a consolarti, non basta tutta la rete di consolazioni materiali e spirituali, di ogni genere. Robe psicotrope che poi in realtà non ti fanno muovere, ti tengono inchiodato a qualche illusione.
Lui rideva e diceva che i fisici sono un po’ matti.
Ma ci sono davvero tante realtà alternative?
Solo nella matematica, insomma vengono fuori dalle equazioni o roba del genere.

Ma dove sono?
Perbacco, è pieno di realtà alternative, dice lui.
E io gli ho detto che la realtà è che in fondo nessuno vorrebbe accettare la realtà.  E poi dove diavolo sono. Non è un’altra fregatura?

E visto che continua a piovere e la pioggia neanche si vede, dico la seconda.
Due minatori in un documentario. Ieri notte mi sono addormentato con l’immagine dei due minatori che facevano colazione in uno spazio umido nelle cavità della Terra, sotto i monti Urali. Mangiavano e la telecamera li riprendeva. Poi uno dei due chiede: c’è anche l’audio? Certo, risponde l’operatore. C’è anche l’audio, ripete quello che aveva fatto la domanda, con un sorriso, al compagno mentre morde un panino. Questo è tutto quello che dice. Poi silenzio. Mangiano. Bevono. Infine si alzano e se ne vanno inghiottiti dal buio di una enorme galleria. Scavano per ricavare potassio.

Terza cosa.
Un foglio che tenevo come segnalibro. E L’avrei scritto io? Non lo so, però penso di sì ma non ricordo a cosa era riferito: nel futuro cercheranno i significati che un autore non ha voluto includere, c’era scritto con un inchiostro che si fa fatica a leggere, grigio chiaro. E non avranno a disposizione i riferimenti che l’autore aveva presente, inoltre cercheranno i significati che l’autore ha incluso involontariamente, le scelte lessicali, il tono, come ha pensato di esprimersi, e poi quali mentalità, nonostante le sue intenzioni, ci sono finite dentro, che non erano nelle sue intenzioni. Si gioca con carte truccate.

Quattro. Uno che dopo decenni dà una sbirciata ai giornali del 2100.
Vedi come le consuetudini e le mentalità fanno fatica a cambiare? Servono ancora i giornali? Ho paura di sporcarmi i polpastrelli per la polvere d’inchiostro. Le buone allucinazioni prima di colazione. Quando ne sentivano il bisogno, tanto tempo fa, cercavano i giornali, al caffè, al computer, nelle biblioteche. Però, nello stesso tempo, e senza che le abitudini scomparissero del tutto, erano stanchi. Annoiati. Ne bastava una sola di notizia: l’inizio imminente della catastrofe planetaria. La fine del conto alla rovescia.

Cinque. Non basta che le nuove generazioni siano ridotte a comparse. Non sono previsti attori, oggi, solo comparse. Ed è riprovevole, amorale, criticare la sceneggiatura. Che poi, leggendo e ascoltando la Voce della Libertà, la sceneggiatura pare di seconda o terza o quarta mano. Sono sempre le solite maschere. Con occhi naso e bocca che sembrano intagliati in fretta e una luce falsa dietro per impaurire o intimorire. Come un secolo fa con Halloween. C’era il direttore del Direttorio della quarta o quinta o sesta rivoluzione industriale che come le precedenti cambiava tutto tranne il numero delle persone inutili, che invece cresceva sempre di più, quelli che dalla preistoria cercavano di esistere, e che adesso potevano marcire senza essere mai chiamati a esistere.

E guarda te, d’inverno l’aria è così calda e luminosa, improvvisamente. L’unica speranza è che il nuovo virus sia più selettivo e meno idiota.

Nella sesta stazione si contempla. Allora parlo del delirio di onnipotenza del comico. Possiamo ridere di tutto ma c’è un retrogusto molto amaro. Non ho niente contro gli ubriachi e i comici deliranti, ma solo perché non mi accontento di un pugno di mosche, che è quello che si ottiene. E poi ormai sono disoccupato.

Sette cioè l’osso. Mostrava folle enormi di mammiferi antropomorfi senza volto, allergiche a ogni interesse, ed era lì che bisognava lavorare, mettendo in soffitta tutte le vecchie idee. Lanciargli l’osso da rosicchiare, come ai cani. Nelle Case del Ricordo quando sfogli questi documenti ti viene l’angoscia.

Otto. Si fa presto a chiudere le Case del Ricordo. Nessuno si sporca più le mani, neanche in senso metaforico, perché all’improvviso non hai più connessioni, salta la rete e va a capire chi l’ha fatto. Il Governo Mondiale, il Direttorio della Libertà, i carabinieri informatici o qualche ragazzata o quelli dei servizi segreti.

Dovrei godermi questo tepore, e l’aria inspiegabilmente calda, stamattina. Non dovrebbe fare freddo a febbraio?

Non lo so. C’erano tante speranze allora quante ce ne sono oggi. Quasi nessuna. Nella nona casella non posso metterci un inno alla gioia. Non ho molto tempo. Non per le previsioni degli economisti ma per quelle del mio corpo. È divertente pensare che si chiude un tempo e se ne riapre un altro in uno spazio e tempo diversi, con altri linguaggi e matematiche differenti che adesso è inutile immaginare. Non ci sarò.

Un passo dopo l’altro ho raggiunto la prima decade. Si arriva fino qui e poi si ricomincia, per moduli di dieci. E poi, una variante che la vita non ha previsto (non è molto intelligente). La possibilità di tornare indietro, di rifare il percorso in senso inverso. Quale potrebbe essere il punto di svolta? 75 anni? 85? Forse spingersi fino a 85 potrebbe essere eccessivo. Poi, con lo stesso ritmo, tornare indietro: 84, 83, eccetera. Fino all’infanzia, e anche lì stabilire un punto di arrivo (e di ripartenza): 3 anni? A che giro sei? Che importa, magari non ricordo niente del percorso, anzi ne faccio un altro, cambio anche nome. Alt, un lungo respiro, calmare i battiti del cuore come dopo una corsa, e via verso il ritorno agli anni precedenti, con lo stesso ritmo stagionale, ma le stagioni proseguiranno anche loro o si ribalteranno?

C’è un preoccupante assembramento sotto le mie finestre. Tra le locuzioni passate di moda c’è quella di chi piscia fuori dal vaso. Devo averlo fatto e da comico sovversivo comincio a pensare che i carabinieri informatici sono dei raffinati interpreti letterari. Magari non tutte le frasi erano chiare, del resto non sono chiare neanche a me, ma quello che il loro olfatto ha annusato non va bene, no non deve essere piaciuto per niente. Per niente. Suonano alla porta, di sotto. Undicesimo piano, dico con calma al citofono. Dalla app dell’i-phone li vedo salire come gli atleti di una squadra che si allena a piccoli salti cadenzati.

Ma sono anche dei coglioni perché all’undicesimo piano non c’è nessuno. E il dodicesimo, dove sono io, non risulta nelle loro mappe. Si chiedono chi ha parlato. Sembrano sconcertati, inquieti. Lascio che se lo chiedano, tanto per loro resterà sempre inspiegabile. Il dodicesimo piano è l’universo parallelo che sta vicino a loro ma loro mica lo vedono. Non vedono niente, mentre li osservo, annoiato.

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