Apre la porta. Si affaccia sull’uscio. Abita a pochi metri dal lungomare. In quella casa ha trascorso la fanciullezza, la giovinezza, l’età adulta ed ora la vecchiaia. Oltre la strada c’è la spiaggia di sassi. Volge lo sguardo in quella direzione. Da bambina, affacciandosi sull’uscio – dove ora c’è il campo da bocce del circolo anziani – intravedeva una villetta signorile, che lei ha sempre visto in abbandono. Al di là della villa, solo sassi ed il mare. Lì aveva assistito, tante volte, alla pesca alla tratta; guardava i due gruppi di pescatori che dalla riva in modo coordinato recuperavano a mano la rete; lo facevano pure in estate – la spiaggia allora era poco frequentata.

A quei tempi gli stabilimenti balneari della Sassonia, così è chiamata la spiaggia, erano più a sud, dopo la Rotonda: quello dei Tarini e quello di Sergio; ultima, la concessione gestita dalle suore di S. Marco; con le loro lunghe tuniche – in quell’occasione bianche – controllavano i bambini affidati loro dalle famiglie del centro storico. Se imboccava il cavalcavia, c’era Fano, con tante cose, cinema, bar e un sacco di gente, ma ai sampietrini levigati delle vie cittadine, lei ha sempre preferito altre pietre, i sassi levigati dal mare della Sassonia. Da ragazza c’andava con le amiche, da sposa percorreva la passeggiata a braccetto con il marito, da mamma con i bambini. Con il tempo i ruoli di sposa e mamma sono svaniti, negli ultimi anni passeggiava da sola.

Quella villa signorile in abbandono davanti a casa, quel rudere, non c’è più, ora è lei un rudere. Cinquant’anni fa ha visto la spiaggia trasformarsi. Erano sorti tre stabilimenti balneari ed un circolo velico. Dall’altro lato della passeggiata: un circolo anziani, una piscina, un enorme tendone ed una pista di pattinaggio. Ha visto la spiaggia “mangiata” dall’erosione marina e, con l’arrivo delle scogliere frangiflutti, rifarsi più estesa di prima. Per vedere il mare, schermato dalle file di capanni, si portava fino al porto e imboccava la passeggiata del Lisippo, tra il mare ed il Marina dei Cesari; da lì guardava verso l’ultimo confine di tutto, a volte azzurro, a volte color piombo.

 

Dove termina la passeggiata c’è la statua di un giovane atleta, è la riproduzione dell’antica scultura bronzea che le reti dei pescatori fanesi avevano estratta dal mare negli anni ‘60; l’originale, venduto di nascosto ad un antiquario di Gubbio, dopo lunghe traversie è finito in California, a Malibù, nel Museo Getty. Quella passeggiata che ha percorsa tante volte, con il vento che la spettinava, con la nebbia, con nuvoloni neri che incombevano, riparata sotto l’ombrello, adesso non è più in grado di farla, ora si muove aiutandosi con un deambulatore. Il suo camminare, divenuto sempre più lento, termina nella panchina sotto il tendone. Le piace sedersi lì, all’ombra, e scambiare quattro chiacchiere con altri anziani come lei, anche se ad essere scambiate sono per lo più banalità. Non può più giungere fino alla statua del Lisippo, si consola pensando che a lei piace di più un’altra statua del lungomare fanese, si trova vicino al circolo anziani, a pochi passi della sua abitazione.

“Viva la vita” si chiama quella scultura bronzea. Rappresenta una donna ed è stata plasmata da una donna. Tante volte si è soffermata ad osservare quella giovane con le braccia aperte, protese verso l’alto; ora che in lei domina la debolezza, ci vede un inno alla forza delle donne. Da quanto è stata collocata, la giovinezza della statua è rimasta immutata, mentre in lei quei nove anni hanno lasciato il segno. Quella donna giovane e bella, con lo sguardo rivolto al cielo, le dà una sensazione di libertà, in particolare ora che il suo corpo è imprigionato dalle catene della vecchiaia. In quel corpo che si inarca in punta di piedi buttando le braccia e il viso al cielo c’è equilibrio, nel suo ad ogni passo, incerto, c’è la preoccupazione di cadere, di rovinare a terra. Ad unire i due corpi, quello bronzeo ed il suo appassito, l’essere in piena sintonia con l’ambiente circostante.

Ma ora in estate non esce quasi più. Dalle ore centrali fino a tardi la spiaggia è affollata, famiglie di turisti e, dappertutto, giovani in costume; persino nei giardinetti del retrospiaggia ci sono giovani a torso nudo che giocano al pallone. Un pomeriggio di pochi giorni prima, percorrendo in auto il viale Adriatico – la stavano accompagnando per una visita medica – ha visto l’intera superficie sotto il tendone occupata da centinaia di biciclette. In quel caos non c’era posto per loro, anziani, scacciati dai telai dei giovani.

Le rare brevi passeggiate le fa di prima mattina quando i campi da beach volley sono deserti ed i giovani sono ancora a dormire. Fanno le ore piccole – lei si alza poco dopo che loro vanno a dormire. Il suo udito si è abbassato; quando guarda la TV deve mettere i sottotitoli, che poi non c’è un gran che da seguire. Le trasmissioni d’intrattenimento che le fanno compagnia nei pomeriggi estivi, sono particolarmente noiose, a volte vengono ritrasmesse le puntate invernali. Ore e ore di trasmissioni  che si mescolano nella sua mente in una marmellata insulsa di immagini. È per questo che si era alzata – con difficoltà – dalla poltrona e, barcollando, aveva raggiunto il deambulatore con cui si era spinta fin sull’uscio. Il suo udito si è abbassato eppure, appena aperta la porta, le è giunta, forte, la musica proveniente dallo stabilimento balneare più vicino. Un tempo i concessionari di spiaggia assumevano solo bagnini ora dj.

La statua della giovane donna che si inarca in punta di piedi buttando le braccia e il viso al cielo è sempre lì, continua a manifestare sintonia con quell’ambiente, mentre in lei quella sintonia non c’è più. Chiude la porta e, lentamente, torna a sedersi davanti la tv.

Didascalie foto:

Sassonia (Fano), agosto 2025

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