“Le città belle sono una delle più straordinarie e complesse invenzioni dell’uomo, veri monumenti allo stratificarsi del tempo. Ma sono gli alberi a scandire il tempo che ha reso belle queste città. Sono loro la finestra aperta sul ciclo della natura, che poi è anche il ciclo non eterno della nostra vita. E ci ricordano che anche noi facciamo parte della natura [….]. Con gli alberi si stringe un patto di complicità contro il tempo che passa. ”
Renzo Piano, Io, Abbado e la città: un sogno che finisce, Corriere della sera, 22 aprile del 2010 *
Numerosi gelsi, come me, sono stati raggiunti dall’urbanizzazione. Le ragnatele di strade e caseggiati hanno sostituito i campi che ci circondavano.
Nel territorio fanese ce ne sono tanti più grandi di me; ogni gelso, isolato o in filare, potrebbe raccontare le trasformazioni che il territorio intorno ha subito, ma, visto che mi è stata data la parola, lo faccio io.
Mi trovo nella periferia sud della città di Fano, nel Vallato II: la parte del quartiere urbanizzata negli anni ‘70 e ‘80. Ho una circonferenza superiore ai tre metri (3,35 m), pertanto dovrei essere centenario.
Fino ad un mese fa non ero solo. Ad un centinaio di metri da me c’era un altro gelso. Insieme avevamo assistito alla trasformazione del territorio intorno a noi. Dove un tempo c’era la campagna erano sorte decine e decine di file di casette a schiera circondate da aree di verde pubblico. Le altre alberature dei campi – oltre a noi gelsi, c’erano querce, mandorli, noci, ecc. – sono state spazzate via. Sì, è vero, nello spazio che ci separava sono stati piantati diversi altri alberi, ma c’era qualcosa che ci accomunava e che le altre piante messe a dimora nell’area verde non possono capire: eravamo dei sopravvissuti. Loro non hanno mai conosciuto il quotidiano alternarsi di luce e buio a cui noi per buona parte della nostra vita avevamo assistito; per loro è normale che di notte i lampioni sconfiggano le tenebre.
Tutto intorno a noi è stato stravolto, anziché elementi di un paesaggio agricolo, facevamo parte del verde pubblico. Io vivo vicino ad un parcheggio (all’estremità di Via Alberti), accanto all’asfalto e ad auto parcheggiate, passo inosservato, mentre il mio compagno svettava in mezzo ad un prato costantemente curato.
Un tempo a denudare la nostra chioma non erano le raffiche del vento, venivamo annualmente potati – le nostre foglie erano preziose, fornivano cibo ai bachi da seta.
Deve essere stata proprio una raffica più forte delle altre ad avere fatto staccare un grosso ramo del mio antico compagno.
Nei giorni successivi ho visto delle persone avvicinarsi al suo fusto ferito. Bene, ho pensato, gli uomini stanno al capezzale del mio amico, lo cureranno. Non è stato così, lo devono avere ritenuto pericoloso per le numerose carie insediate nel legno del suo tronco; una motosega lo ha abbattuto.
Ora in mezzo al prato c’è solo un cono di plastica a strisce bianche e rosse a segnalare il ceppo.
A ricordare lo stratificarsi del tempo, resto io.
Note
* Renzo Piano, Io, Abbado e la città: un sogno che finisce, Corriere della sera, 22 aprile del 2010
Didascalie foto:
1 – Gelso bianco, 14 giugno 2025, Vallato (Fano)
2 – Gelso bianco, 21 settembre 2024, Vallato (Fano)
3 – Cono di segnalazione sul ceppo del gelso abbattuto, 14 giugno 2025, Vallato (Fano)