Ricordare Francesco. Perché è così difficile? Forse perché per me o dentro di me non si trova ancora nei luoghi del ricordo, come se inconsciamente non avessi accettato questa sua nuova dimensione, cioè non dovrei aspettarmi più i suoi delicati messaggi di fine anno, i suoi superlativi: carissimo, o le sue ironie: direttore, e quelle strette, quegli abbracci quando finalmente ci si poteva incontrare. Il filo dei ricordi è come scendere una scala all’indietro, nel buio. Più del pericolo, c’è il timore che qualche lampadina improvvisamente si accenda e riveli l’ambiguità tra quello che c’è e quello che non c’è. Non riesco a rileggere le sue poesie cercando delle coordinate letterarie; le sento prendere fiato, assumere una voce, la sua voce. La figlia che non piange (Einaudi 2021). E tutto il resto è niente, aveva ragione lui.

Ho ritrovato una vecchia foto. Eravamo nello studio del pittore Valter Gambelli, a Fano, per preparare il catalogo di una sua mostra, Climi. Massimo Raffaeli, Katia Migliori, Francesco. Che giorni splendidi. Se ne sono andati. Ma Katia e Francesco sono qui, in una profonda, insonne notte di fine estate.

Quelle annotazioni e la fotografia avevano poi cercato un’altra strada, in versi, cominciando proprio dalla sua facilità di ricordare, con limpida precisione, ed era sorprendente.

La tua memoria, Francesco, la tua

ironica e sorprendente memoria.

La mia cammina nel buio perché

crudelmente si sono spente le luci

delle cene e degli abbracci, con la tua

ruvida barba da bambino e gli occhi

divertiti e malinconici di un jazzista

blues, poi il tuo sguardo stanco

e l’ironia sul signor Parkinson

e la tua nuda e lieve poesia verticale

Francesco, che scende fino al vuoto

dove ognuno si perde, nel verde

del prato che è diventato bianco.


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