Per affinare le mie cognizioni di Storia della musica domenica pomeriggio sono andato alla presentazione di un volume sulla vicenda artistica del compositore britannico Benjamin Britten – presente l’autore – per
iniziativa di un’emerita associazione pesarese che cerca di diffondere un po’ di cultura musicale non necessariamente rossiniana (la colonna sonora del regime in vigore in città) attraverso concerti, lezioni e incontri con critici musicali. Ero armato delle migliori intenzioni e spinto da due molle: la prima è che in Storia della musica sono un semplice dilettante – lo sono un po’ meno su Mozart – ed ogni occasione è buona per imparare qualcosa, la seconda è che, detestando l’ottocento romantico nell’ascolto da me quasi sempre saltato a piè pari, ho spesso privilegiato quanto in campo musicale esisteva nel sei/settecento (adoro Monteverdi, più di un secolo prima di Mozart) per passare direttamente all’ascolto della musica novecentesca, a partire dagli “sperimentatori” austriaci (Schoenberg, Berg, etc) fino agli italiani (Berio, Nono, etc).

Ebbene mi sono sorbito da parte dell’autore un’ora di requisitoria esaltante la spiritualità e la religiosità di Britten e la sua attenzione all’anima dei singoli, la sua ostilità a qualunque riflesso sociale della musica e la sua paura del diavolo contrapposta alla “volgare avanguardia” che tentava (invano) negli stessi anni di esprimere in musica le contraddizioni sociali del nostro tempo, prigioniera di una visione marxista della storia che marginalizzava allora autori “cristianissimi” come lo stesso Britten ed esaltava autori ed interpreti di “estrema sinistra” (parole dello stesso autore) quali Abbado, Pollini e Nono (sic!), per la cronaca vicini al PCI, non certo pericolosi terroristi (delle Brigate Rosse). Il pubblico rapito ascoltava estasiato per sciogliersi alla fine in un applauso fragoroso: questa sì che è egemonia culturale, purtroppo per Gramsci è un’egemonia di stampo fascista.

Per non disturbare mi sono alzato e me ne sono andato con tanta rabbia e con la tentazione di tornare indietro per contestare le argomentazioni dell’autore. Va bene il revisionismo storiografico, quello filosofico e pure quello letterario ma arrivare a una forma di “squadrismo” musicale contro autori ed
interpreti che hanno fatto la storia della musica del novecento finora era impensabile. Eppure nella domenica dei referendum sociali a Pesaro davanti a un pubblico “colto”, selezionato e composto per gran parte da sinceri democratici (e di sinistra) è stato possibile.
Per favore non meravigliamoci se a votare va solo il 30%: questo è ormai un Paese che ha fatto della “servitù volontaria” la propria religione civile!

Marco Savelli

[immagine: un panorama per rilassarsi, Torino da Superga]

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