Ian McEwan è un autore che non si può non leggere, ma a volte leggerlo può diventare una sfida, non alla propria intelligenza ma contro la propria intelligenza. Per 360 pagine. Il riassunto di Quello che possiamo sapere (Einaudi 2025), che compare nelle due bandelle, è magistralmente chiaro mentre il romanzo è una tortura dalla quale il lettore cerca di proteggersi saltando dapprima interi paragrafi poi le pagine più prevedibili e le digressioni più noiose, che purtroppo non sono poche. Mentre poche, veramente poche, rarissime, sono le parti interessanti, le intuizioni e le sorprese che, come nelle isole dove l’umanità si è rifugiata dopo il Disastro – secondo la prevedibile immaginazione dell’autore – qualcosa della civiltà letteraria prosegue i suoi cerimoniali. Niente che non sia stato già raccontato. E sicuramente in modi meno noiosi. Così a occhio, sarebbero circa 200 le pagine di troppo, 201 con quella dei ringraziamenti, che è diventata un’abitudine leziosa, un vezzo autoriale per far capire al lettore ingenuo quanto lavoro ci sia dietro quella prosa “importante” che lui ha la fortuna di avere scelto. Banale narcisismo. Non sempre, ovviamente: nel libro di Robert Macfarlane, E’ vivo un fiume? (Einaudi 2025) i ringraziamenti sono invece un utilissimo approfondimento.

Tanti scrittori e registi ci hanno descritto con inquietante professionalità gli scenari catastrofici che ci attendono dietro l’angolo, così Ian McEwan ha elegantemente evitato di fornirci una sua versione più dettagliata. Pochi cenni e il lettore può lavorare con la sua fantasia o rievocare quelle che conosce già. Ma il problema vero è la noia, che a volte diventa una stretta allo stomaco, e a quel punto è consigliabile interrompere la lettura per riprenderla appena ripristinate le condizioni psicofisiche ottimali. Un consiglio scorretto è l’agilità del salto (delle pagine). Che cosa ci racconta McEwan? Quello che ho appena detto: dietro un’opera letteraria, ad esempio un’elegante corona di sonetti, si nascondono spesso delitti e misfatti, ed è meglio che il lettore resti sveglio perché quelli dell’industria editoriale sono dei professionisti capaci di venderti come sinfonia una sonata per trombone. Sono sicuramente dei professionisti bravissimi, tutti, dalla traduttrice ai grafici, solo che a volte – troppo spesso per la verità – viene da chiedersi se ne vale la pena, (per il lettore, perché immagino che gli addetti al confezionamento del prodotto siano adeguatamente remunerati, o quasi). Insomma è davvero una pena leggere cose già lette, e con 200 pagine di troppo. 201, per la precisione.

p.s.

Ian McEwan ha scritto anche bei libri. Ma se ha ancora senso parlare di una storia della letteratura, questo dovrebbero mostrarcelo gli autori, in totale autonomia e libertà e lontani anni luce da accademie, università e mercati.

 

 

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