Fano, 6.12.2013 (Sala della Fondazione Carifano)

1) Non tutti, ma tanti scrivono poesie e fanno – almeno in un certo periodo della vita – l’ esperienza di questo tipo straordinario di comunicazione. Ma essere poeta è un’ altra cosa che mi ha sempre un pò spaventato. Ricordo sempre il grido di Moravia al funerale di Pier Paolo Pasolini: hanno ammazzato un poeta! Configura un delitto particolare maltrattare o addirittura ammazzare un poeta. Perché questo? o meglio, qual è la funzione particolare della poesia? I poeti, penso, curano anzitutto quel campo sensibile che sono i rapporti tra sentimenti e lingua. E se uso la parola “sensibile” la uso al modo dei militari o dei servizi segreti – in un certo modo poeti anche loro, basta pensare ai nomi fantasiosi che danno alle loro operazioni – “sensibile” quindi nel senso di vulnerabile, indifeso, perciò a rischio. I sentimenti sono terreni minati, lo sappiamo, e finiscono facilmente per diventare giungla o palude. E lo stesso vale per le parole. Mantenere e arricchire la loro capacità di espressione è un lavoro immenso, spesso ingrato, di lotta contro frane, smottamenti, degradi, erosioni, dissesti; e d’altra parte è anche un lavoro di drenaggio, di canalizzazione, di irrigazione senza il quale la lingua muore. Ho usato parole che risalgono alle tecniche e scienze per sistemare le acque e la terra, la base e lo spazio della nostra esistenza fisica. La poesia per millenni ha preso qui le sue parole, da queste attività le sue metafore, uguali dall’ Odissea fino a Leopardi. Poi, nel ‘900, la poesia fa saltare tutte le recinzioni:

“Sono gli ultimi giorni, o, è uguale, gli ultimi anni,

dei campi arati con le file dei tronchi sui fossi,

del fango bianco intorno ai gelsi appena potati”

scrive Pier Paolo Pasolini in un epigramma a Bertolucci. E domanda:

“Chi non la conoscerà, questa superstite terra,

come ci potrà capire? Dire che siamo stati?”

Siamo arrivati al punto di partenza, o meglio, a uno dei punti di partenza degli Esercizi spirituali per cosmonauti di Marco Ferri.

 

es 0012) Iniziano così: “via il terriccio umido e qualche crosta verde, vengono alla luce dei frammenti cartacei, laceri e friabili, risalgono agli inizi del ventunesimo secolo, roba acida, volatile, basta un soffio e forse …” Forse ci imbattiamo nell’ avventura di un diario, “da febbraio a febbraio” come recita il titolo della prima parte, in testi e frammenti che richiedono dal lettore varie virtù: spirito archeologico, sensibilità meteorologiche, una fantasia che si incendia di cose banali, curiosità di giocatori che nell’ incontro cruciverbiale di parole scoprono sentimenti enigmatici. L’ elemento di gioco è il fondamento di queste poesie e regge tutta la costruzione contrastando, anzi, capovolgendo il carattere cupo di certe parti. Il tipo di gioco è quello praticato da Raymond Queneau. Traducendo, insieme a Silvia Ferri, la sua Per un’ arte poetica , Marco lo ha scelto come uno dei suoi maestri o interlocutori.  Ci sono altri – Marco non invano ha fatto il bibliotecario – oltre a Eliot e Brecht evocati dal cosmonauta c’è forse anche Paul Celan con il suo “Sprachgitter”, Grata di parole, titolo che indica anche un metodo, quello delle due parole che rinchiudono un minimo, che lasciano appena lo spazio per un seme. Così funzionano anche i titoli di Marco Ferri: L’ apparenza necessaria, Nero il bianco, Dove guardi, Cari inganni, titolo quest’ ultimo preso da Leopardi, un diario di 10 anni su 40 pagine appena e con un motto di Wittgenstein bellissimo: “Un’ espressione ha significato soltanto nella corrente della vita”.

Le correnti della vita. Il Metauro porta glorie e scempi antichi. Fano è un porto. Questa parte delle Marche, forse più di altre, è provincia tranquilla: Apparenza necessaria, nero il bianco dove guardi. Cari inganni. I discorsi si fanno in cucina. Il minimalismo di Marco si addice alla vita in provincia. Ho detto “minimalismo” e controllo subito in google, dove leggo: Gli autori minimalisti evitano gli avverbi e preferiscono lasciare al contesto il ruolo di definire il significato. Ci si aspetta che i lettori prendano parte alla creazione della storia, che scelgano da che parte stare in base a indizi obliqui e allusioni, piuttosto che seguire delle direzioni proposte dall’autore.

Ci siamo.

 3) Anni fa con Gabriele Ghiandoni e altri amici facevamo una rivista chiamata Microcosmo. Allora, parlo degli anni ’80 e ’90, fiorivano in questo territorio numerose riviste. “Marka”, “Lengua”,  “Hortus”, “Cartolaria”, strana associazione di carta e aria, “Pelagos” … Non so che cosa è rimasto. Ma i poeti continuano il loro lavoro. Penso, che la provincia continui essere il terreno più fertile per la poesia e che questa sia la cosa più necessaria e indispensabile nella vita. “Un legnetto, / un rametto concettuale /galleggiante / segnale.” Ecco il finale di questi “esercizi spirituali” di cui ho già evocato l’ incipit. Un finale che è anche un omaggio a Tullio Ghiandoni che raccoglieva piccole cose, i residui, reperti e sintomi di una situazione, e ci lavorava sopra. E noi faremo lo stesso con le parole di queste poesie.

***

exercise 001Questa estate ho discusso con Peter un paio d’ore sul libro. Qualcosa non era chiaro a lui ma anche a me non tutto era chiaro. Più passa il tempo e più mi accorgo che piccole costruzioni di senso e di immagini che compaiono qua e là nei testi si mandano dei segnali fra loro.  Molte cose, di provenienza diversa ma dal sapore amaro, si erano come solidificate, una oscurità minacciosa e desolante ma anche un luogo. Come ai personaggi di Tarkovskij, anche a me è sembrato di camminare in una zona non più comprensibile e molto inquietante, abbandonata dall’uomo, e tuttavia non diversa da quella solita, insomma era come se la quotidianità avesse cambiato abito, o pelle. Ho provato a fare il mio viaggio. Ma senza niente, solo con quella “bussola antiquata”, come dice Peter, che è la poesia. Al contatto con la realtà il linguaggio reagiva in modo provocatorio. Un anziano che nuota al largo diventa una metrica che va verso il nulla. C’è una sorta di pietas ironica, mi sembra, che attraversa tutto il libro. E anche un’insofferenza, perché la normalità non è innocua. Bisognerebbe avere delle difese ma anche sentire le ferite. Una volta si diceva della capacità di scandalizzarsi. In effetti non ho altro. E nemmeno so come diavolo funziona questa bussola. C’è un viaggio tra le parole attraverso quel grumo compatto e minaccioso, con il desiderio e la sfida di osservare più da vicino da dove provengono le paure: un mondo feroce, razzista, gonfio di menzogne, di ideologie che negano di essere ideologie, di falsi salvatori, un mondo che finge di interessarsi a te, di girare attorno a te, ma non è vero e se lo fa lo fa per fregarti. Inoltre, come ha scritto Enzensberger : “non c’è da fidarsi nemmeno del pessimismo”.

E poi c’è tanta gente come me che si trova senza “uno straccio / di canovaccio”. Dunque, senza un compito, se non altro verso figli e nipoti, e qui non c’è dell’ironia, anzi è molto triste: a quelli che verranno dobbiamo già delle spiegazioni. Allora, come si prosegue nella zona? Una poesia di Charles Simic, The stone, Il sasso, comincia così : Va dentro il sasso. / … Forse lì dentro non è così buio dopo tutto. Io non ho convinzioni. Non c’è niente nello zaino. Del resto le convinzioni si erano deteriorate. Il libro è il racconto in quattro poesie di questo viaggio in un mondo diventato alieno (prima era solo alienante). La prima poesia di 34 testi è un diario che si svolge nel tempo ciclico, che è uno dei concetti di tempo. Poi c’è la seconda poesia Le nuvole in otto testi, sull’indifferenza e la bellezza della natura, poi la terza, che offre il titolo al libro, di 9 testi, dove il viaggio è più accidentato perché le condizioni storiche entrano con immagini anche un po’ violente e infine c’è la poesia finale, che riassume un po’ tutti i temi che qua e là affiorano nel libro, quindi variazioni sui temi, per esempio agli ominidi in sala d’attesa (immagine carnevalesca, nel senso di Bachtin) corrisponde quella delle persone drammaticamente cacciate via dalle case perché non avevano più i soldi per pagare l’affitto, che hanno costruito delle tende e poi una vera tendopoli, perché per loro il mercato è come una calamità naturale. Non è colpa di nessuno. Ma se le vittime sono già convinte che i carnefici sono nel giusto, di che speranze vogliamo parlare? Quando a Tarkovskij chiesero la sua interpretazione del film (religiosa, mistica, fantascientifica etc.) lui rispose semplicemente che la zona è la vita, e se la attraversi ti spezzi oppure resisti. Per resistere (che etimologicamente significa anche fermarsi) si deve conservare soprattutto la capacità o sensibilità di chiedere e darsi delle spiegazioni, delle buone spiegazioni non delle spiegazioni di comodo o consolatorie. Così ci sono affermazioni e domande in questo viaggio, ma sono tutte provvisorie, sono le domande e le affermazioni nude e crude che vengono in certi punti del percorso, e chi ha fatto o vorrà fare questo esercizio spirituale forse farà altre congetture oppure penserà a delle confutazioni. Gli esercizi spirituali servivano a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e predisporre l’anima alla salvezza. Ma qui non è più un problema di coscienza né di salvezza del singolo. Nell’epoca della cosiddetta globalità ognuno pensa per sé e difende la propria cerchia, clan, camarilla, nazione etc. Le epoche passate non potevano vedere il pianeta da fuori, adesso lo vediamo, sappiamo anche che siamo tutti della stessa specie, ma alcuni credono di avere l’economia giusta, la religione giusta, la filosofia giusta, etc. mentre gli altri no. E l’astronave Terra continua i suoi giri. Questa metafora significa che la biosfera è l’ambiente naturale dell’uomo, però Leopardi la pensava diversamente. E la scienza ci ha mostrato tutta la precarietà di quella convinzione. Per sopravvivere abbiamo dovuto inventare e costruire tecnologia, compreso il linguaggio. E il linguaggio reagisce al contatto con la realtà. Comunque il mio compito finisce qui.  Nel suo diario di lavoro, Brecht scriveva a proposito delle Hauspostille (Libro di devozioni domestiche) che la mancanza di qualsiasi via d’uscita infonde speranza.

[Marco Ferri, Esercizi spirituali per cosmonauti. Con una nota di Peter Kammerer. Di Felice edizioni 2013. Euro 15]

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