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Questo libro di George Steiner è interessante per tanti aspetti. Il sottotitolo: Dall’ellenismo a Paul Celan, indica il percorso, “un viaggio che risale dai frammenti presocratici e giunge a Paul Celan”. E’ un libro, per quanto intensissimo, di sole 259 pagine ma George Steiner si pone le domande più inquietani:  “Ciò che può essere enunciato, presumendo che il linguaggio sia più o meno consonante con le intuizioni autentiche e le dimostrazioni reali, in realtà forse svela il deteriorarsi delle primigenie identificazioni epifaniche”. Insomma l’uomo sta dentro i limiti del linguaggio. Meglio: Il pensiero è in esilio, “ma noi non sappiamo o per essere più precisi noi non possiamo dire da che cosa”. Non c’è solo questo millenario dialogo tra poesia e filosofia, ma ci sono anche attualissimi aggiornamenti di una onestà intellettuale e di una lucidità che sono cosa rara oggi.

Per esempio questa considerazione sulla matematica: “Il linguaggio o i linguaggi della matematica sono immensamente ricchi. Il loro dispiegarsi è una delle poche avventure positive e senza ombre rintracciabili negli archivi dello spirito umano. Sebbene inaccessibile al profano, la matematica manifesta i criteri di bellezza in un senso esatto, dimostrabile. Solo qui si impone l’equivalenza tra verità e bellezza… le lingue parlate e scritte mentono, ingannano, confondono. Spesso e volentieri il loro motore è l’effimero. Nella matematica si possono produrre errori ma vengono corretti. Essa non può mentire. C’è umorismo nelle costruzioni e nelle dimostrazioni matematiche, come c’è umorismo in Haydn e Satie. Ci può essere il tocco di uno stile personale.” Un riconoscimento incredibile, per un autore cresciuto nel pensiero di Heidegger. Ma si può apprezzare la sua onestà di ricercatore anche quando, verso la fine del libro, torna sul maestro: “Tutto è cambiato con la recente apertura degli archivi e con la pubblicazione, ancora parziale, delle lezioni e dei seminari di Heidegger dal 1933 al 1939. Questi sono permeati da una fascinazione quasi volgare per il Führer e la sua purificazione della nazione tedesca. L’idioma imperioso di Heidegger è strettamente parallelo al gergo Völkisch, implicitamente razzista. Il disprezzo per un’intellettualità disinteressata, per l’impegno dello studioso all’imparzialità delle prove è repellente”. Steiner si sente spiazzato, come se dovesse riallineare tutte le riflessioni, e quello che doveva essere il coronamento del libro, cioè il dialogo Heidegger – Celan, subisce questa luce dimezzata, questa delusione. Poi la coscienza tecnofobica di Steiner in fondo prevale, e non riesce a vedere nella contemporaneità se non le banalità illusionistiche della tecnologia. Eppure le scienze ci hanno aperto prospettive diverse, forse più disperanti, ma meno illusorie. All’alba dell’uomo non c’è la conoscenza suprema ma solo l’inizio di una evoluzione. Anche quello scientifico è pensiero, e la poesia farebbe bene ad assimilare le sue problematiche e modificabili visioni del mondo, piuttosto che trastullarsi con arnesi filosofici desueti e inutili. Non solo, anche dogmatici. E’ incredibile infatti come non si riesca a uscire dal cerchio magico dell’illusionista Heidegger. Attrazione fatale. Peccato.

George Steiner, La poesia del pensiero: dall’Ellenismo a Paul Celan. Garzanti 2012

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