Veramente encomiabile il viaggio che Marco Revelli ha voluto fare per conoscere l’Italia di oggi (Non ti riconosco. Einaudi 2016). Visita i punti critici, le zone dove il cambiamento mostra le sue piaghe. E ogni tanto è interessante, sebbene l’impressione sia che un buon film-documentario sarebbe stato più incisivo. Infatti quello che stona, e francamente risulta incomprensibile, è la sua prosa, che sembra una parodia di Victor Hugo. Uno si compra il libro di Revelli perché sa che l’autore è intelligente e preparato e si trova ad ascoltare discorsi malati di retorica pregiudiziale, barocchite acuta e citazionismo esibizionistico, il più delle volte privo di nessi con il discorso stesso. 20 euro non è molto, il libro è ben rilegato e confezionato, ma diventano una cifra esorbitante rispetto alla pochezza dei contenuti e al prolisso modernariato della prosa. L’introduzione è in realtà un efferato fuoco di sbarramento, e se il lettore, malconcio, riesce a superare frasi del tipo “sono ancora caldi i bronzi delle campane che cantavano la gloria del nostro progresso, e visibili i ferri delle infrastrutture lanciate verso un radioso orizzonte di crescita e potenza”, non può sperare di averla fatta franca, perché già nel primo capitolo ritrova “lo spettacolo di un corteo operaio eruttato da un qualche cancello di Mirafiori non era diverso, nel fragore, e calore, ed energia emanate, da quello offerto da una colata di fucina, o da una batteria di presse battenti”, oppure “ I cinquemila residui umani a cui si è ridotto il gigante di ieri, aspettano, frammento microscopico alla deriva in uno spazio cosmico sconosciuto …” : insomma, non è possibile, non è decente, e soprattutto non fa ridere questa parodia di Victor Hugo. Poi, lentamente, arrivano delle descrizioni accettabili, interessanti, ma uno pensa sempre che un buon reportage fotografico avrebbe mostrato in maniera molto più efficace lo stato delle cose. Corredato magari da qualche sobria didascalia. Purtroppo Revelli, che sa tante cose, e nel libro ogni tanto emergono, non conosce proprio la sobrietà della prosa. Ma del resto che cosa ci si poteva aspettare da uno che scrive “se dalle altezze dell’ermeneutica più raffinata ci precipitiamo giù, alle fonti grezze del racconto popolare” … Sì, Revelli scrive con i guanti e annusa la realtà con la mascherina.

Il sottotitolo del libro è Un viaggio eretico nell’Italia che cambia. Qui di eretico non c’è niente, a meno che non si voglia spacciare per eretica l’ampollosità retorica, in contrasto al basso corporale del linguaggio corrente. Revelli dice che al termine del viaggio non è prostrato dal mancato riconoscimento (ma di cosa, poi?). Il lettore invece ne esce veramente prostrato. Con un buon editor e 150 pagine di meno sarebbe stato un libro interessante. E senza l’ermeneutica e la socio-filosofia anche Revelli sarebbe un autore interessante.

 

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