“Franny e Lane sedevano a un tavolo relativamente appartato da Sickler, un ristorante del centro, preferito soprattutto dalla cerchia intellettuale degli studenti … “. Franny è un personaggio di Salinger, fa parte della famiglia Glass, e sembra piuttosto insofferente. Soprattutto verso gli intellettuali accademici. E fa un esempio: “ fai conto che si tratti di un corso di letteratura russa: lui entra in classe con la camicia coi bottoni sul colletto e la cravatta a righe e comincia a demolire Turgenev per una mezzoretta. Poi, quando ha finito, quando ti ha rovinato definitivamente Turgenev, si mette a parlare di Stendhal o di qualcun altro su cui ha fatto la tesi di laurea … e se soltanto ti metti a discutere con loro, non sanno far altro che metter su quell’aria così condiscendente … ”. Franny sembra la versione femminile del giovane Holden. È incapace di una ‘presa di coscienza’ come si diceva un tempo (in quegli anni sessanta), ma la sua verità è radicata in un malessere, in una condizione esistenziale che le permette di vedere come stanno le cose e nello stesso tempo disperare che possano cambiare. “Sono insopportabile, oggi – disse – sono proprio giù di corda”. Ma sa bene che è solo una scusa. E quando Lane dice che nell’università di Franny insegnano due dei migliori professori del paese e che vorrebbe averli lui perché “almeno sono dei poeti”, Franny dice con molta semplicità una verità memorabile: “Non lo sono. Ed è anche per questo che è tutto odioso. Cioè, non sono dei veri poeti. Sono soltanto gente che scrive poesie che vengono pubblicate e messe in tutte le antologie, ma non sono dei poeti”. Distinzione elementare, però magnifica. Poi cerca anche di farsi capire: “Se sei un poeta, fai qualcosa di bello. Cioè, la gente s’aspetta che tu lasci qualcosa di bello quando finisci la pagina e così via. La gente di cui parli tu non lascia nulla, non una sola cosa che sia bella. Quelli che magari sono solo un tantino migliori non fanno altro che entrarti nella testa e lasciarti dentro qualcosa. Ma solo perché lo fanno, solo perché sanno lasciare qualcosa, non è detto che debba essere poesia, per amor del cielo. Può darsi che sia soltanto una specie di gocciolio sintattico terribilmente affascinante … ” . Franny dunque non si fidava dei critici letterari e inoltre sapeva distinguere un letterato da un poeta. Non voglio dire che la critica contemporanea non sappia distinguere un poeta vero da un raffinato scrittore di versi, considerato poi che un poeta vero potrebbe anche essere mediocre o meno interessante di un raffinato scrittore di versi, dico solo che non lo fa. Anzi, fa qualcosa di peggio: usa tutta la sua sofisticata strumentazione critica sia per un poeta vero sia per uno scrittore di versi, sia per un autore mediocre sia per un buon autore, indifferentemente. È una mancanza etica prima di tutto, poi anche professionale, e a lungo andare si creano carriere letterarie con bibliografie sterminate e totalmente insulse. È una situazione tragicomica, nella quale si avverte la nostalgia di quei saccenti professori degli anni sessanta che demolivano Turgenev, che per lo meno provavano a demolire i monumenti piuttosto che agitare il turibolo di fronte a scrittori senza qualità. Ma siamo nell’epoca in cui perfino le previsioni meteorologiche sono soggette alla censura degli albergatori, cioè nell’epoca in cui solo i compromessi e le complicità permettono di sopravvivere.

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